Il termine "fumus persecutionis" (letteralmente "fumo della persecuzione" in latino) si riferisce, nel diritto canonico e, più in generale, nel linguaggio giuridico, alla presunzione o sospetto che un'azione legale o un atto amministrativo, soprattutto in ambito ecclesiastico, sia motivato non dalla giustizia o dal bene comune, bensì da un intento persecutorio o vessatorio nei confronti di una persona o di un gruppo.
In pratica, quando si solleva un'obiezione basata sul fumus persecutionis, si sta suggerendo che il processo o la decisione in questione siano guidati da pregiudizi, animosità personale, o da un desiderio di danneggiare ingiustamente qualcuno. L'esistenza del fumus persecutionis può invalidare l'atto stesso o almeno richiedere un'indagine più approfondita per accertare l'effettiva assenza di motivazioni improprie.
La valutazione del fumus persecutionis è complessa e richiede un'analisi attenta delle circostanze, delle prove presentate e del contesto in cui l'azione legale o amministrativa è stata intrapresa. Non è sufficiente una semplice supposizione; è necessario presentare elementi concreti che suggeriscano un intento persecutorio.
Sebbene il termine sia tradizionalmente legato al diritto canonico, il concetto sottostante – l'idea che un'azione legale possa essere contaminata da motivazioni improprie – trova riscontro anche in altri ambiti del diritto, in particolare in relazione alla tutela dei diritti fondamentali e al principio di imparzialità della pubblica amministrazione. In questi contesti, si cerca di evitare che il potere legale o amministrativo venga utilizzato per scopi diversi da quelli previsti dalla legge, ledendo ingiustamente i diritti dei singoli.
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